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Facebook è bufera con Cambridge Analytica

Mark Zuckerberg questa volta è in grande imbarazzo. La tanto acclamata agenzia inglese che ha supportato la campagna elettorale di Donald Trump è nell’occhio del ciclone a causa di Christopher Wylie, lo spifferatore magico, un ex dipendente dalla società inglese incaricata di supportare online numerose iniziative popolari, tra cui la Brexit e le elezioni americane di Donald Trump.

Christoph Wylie nel servizio RSI

La denuncia di Christopher Wylie arriva come un fulmine a ciel sereno e indica come Cambridge Analyitica abbia profilato “segretamente” il comportamento di cinquanta milioni di account Facebook attraverso l’utilizzo di un’applicazione per fare sondaggi di nome “thisisyourdigitallife”.

La classica applicazione distribuita e promossa in Facebook, ce ne sono moltissime e di ogni genere, che per essere utilizzata richiede da parte dell’utente il consenso di poter accedere e sbirciare nei propri dati personali.

Secondo Wylie è stato questo il modo “abusivo” in cui la scocietà ha potuto raccogliere un enorme quantità di dati – parliamo di big data – usata per conoscere gusti e preferenze di milioni di persone.

È la dimostrazione che poter disporre di grosse quantità di dati (che non nascono sotto gli alberi) sul comportamento degli utenti, senza che loro lo sappiamo, può creare situazioni imbarazzanti e a rischio. Ancora una volta la scarsa consapevolezza nell’utilizzo di questi giganti del web ha fatto il suo corso.

Ma allora, quali sono le possibilità di poter ottenere i tanto acclamati Big Data? Eccone alcune, lecite, illecite e interpretabili secondo condizioni d’uso:

  • acquistandoli nel mercato nero (Dark Web);
  • attraverso applicazioni ricreative (giochi, oroscopi, etc);
  • attraverso applicazioni usate per sondaggi e quiz;
  • attraverso l’appartenenza a gruppi tematici particolari;
  • attraverso l’utilizzo di software che raccoglie dati dalla rete – perchè resi pubblici dagli utenti nei loro profili social – senza violare alcuna privacy e/o sistema di protezione informatico.
  • attraverso ricerche scientifiche. Già, perchè sempre più spesso vengono sfruttate le possibilità che gli studenti hanno durante il loro dottorato di ricerca di accedere a scopo “educational” a dati sensibili (vedi caso Regeni).

Questo caso è interessante perchè porta alla luce l’anello mancante di una filiera complessa e per certi versi diabolica, che mostra ancora una volta il vero valore che i nostri dati hanno in rete e il loro potenziale quando vengono usati (a nostra insaputa) per conoscere gusti e comportamenti di persone sparse per il mondo.

Che sia la volta buona per leggere almeno una volta nella vita le condizioni d’uso di questi colossi informatici?

Il mio punto di vista sul caso per il TG della Radiotelevisione svizzera – RSI – condotto da Alessandro Chiara. Per rivederlo clicca qui – dal min. 2:45.

E per chi volesse approfondire il tema dei dati sensibili questo è il libro giusto: Il Prodotto sono io; I soldi sono i miei dati personali; La privacy è il mio comportamento. Buona lettura!

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