Sono i nuovi spalloni nell’era digitale: in gergo li chiamano «Money mules» ovvero persone adescate su internet e costrette a riciclare denaro per bande di hacker e la criminalità organizzata.

È così che è iniziato l’incubo di Katia Ronchi, un’impiegata di commercio del luganese alla ricerca di un lavoro. La donna ha risposta ad un’offerta di lavoro, apparentemente seria, pubblicata addirittura sul sito della Segreteria di Stato dell’Economia e già pochi giorni dopo l’assunzione ha ritrovato sul suo conto una grossa somma di denaro, da prelevare cash e spedire a Mosca in una busta. Falò ha seguito il flusso del denaro fino in Russia, il paradiso degli hacker.

La cybercriminalità seleziona il luogo, i profili e il momento opportuno, e fa arrivare la pagina web, il messaggio e-mail per proporre alle persone nuove (presunte) opportunità.

Si tratta di realtà molto diffuse e in crescita, in modo proporzionale alla crescita delle tecnologie digitali, pensando anche alla diffusione del 5G, grazie alla quale sempre più oggetti saranno connessi alla rete.

Una tendenza che permette alla cybercriminalità di avere nuove occasioni di contatto e avvicinamento che diventano in pratica nuove porte di accesso.

Il fattore umano emotivo in questi casi gioca un ruolo fondamentale. La scelta dei profili target e il contesto in cui diffondere l’esca del contatto non sono mai casuali.

La trasmissione Falò della Radiotelevisione svizzera – RSI – ha realizzato un servizio dedicato a questo importante fenomeno in forte espansione. Un servizio curato da Maria Roselli davvero molto ben fatto, che tocca e spiega sul campo tutti i punti della filiera criminale.

Con grande piacere ho espresso il mio punto di vista in studio nell’intervista condotta da Gianni Gaggini.

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